VI Domenica di Pasqua Anno B

5 maggio 2024

At 10,25-27.34-35.44-48   Sal 97   1Gv 4,7-10   Gv 15,9-17

RIMANERE

Forse è frutto della facilità delle comunicazioni, degli spostamenti e trasporti del mondo d’oggi, forse è il frutto d’una cultura e mentalità, diciamo così, evolutive, forse è anche dovuto all’inquietudine e al bisogno continuo di cambiamento/cambiamenti che tutti abbiamo, ma certo il verbo rimanere oggi non è molto di moda, o comunque non gode di buona fama. Basta pensare a come lo usiamo: “Quel ragazzo è rimasto bocciato…quel malato è rimasto con la sua malattia… quell’uomo lasciato dalla moglie è rimasto solo…sapendo queste cose ci sono rimasto male…dopo tante fatiche quello che rimane sono solamente pochi frutti…”. 

Davvero è un peccato, perché il verbo rimanere ha invece in serbo grandi ricchezze per chi sa visitarlo con sapienza. Una campagna dà frutto solo se il contadino rimane in essa, altrettanto una bottega d’artigiano non sarà produttiva se l’artigiano non vi rimane con cura, e potremmo moltiplicare gli esempi. S. Giovanni usa il verbo greco rimanere (manein) nel senso di prendere dimora stabilmente; nella tradizione dei padri della chiesa il monaco entra nella dimora solitaria della sua cella (monè) per rimanervi per sempre, perché non c’è fruttificazione dove non ci sono radici, né esiste famiglia dove manca la stabilità. 

Il luogo, l’ambiente in cui entrare, abitare e rimanere per sempre è il suo amore, l’amore del Figlio che non è altro che l’estroversione dell’amore del Padre. Il comandamento del Signore che vi amiate gli uni gli altri non è nuovo rispetto al contenuto, già espresso nel decalogo di Mosè, ma è nuovo nel senso di riqualificazione e rivivificazione del tesoro già ricevuto da Israele. Il comandamento nuovo di Gesù non è tale perché si contrappone a quelli antichi, ma perché li rende nuovi. Il Signore rende nuove tutte le cose, e rende nuovo anche il comandamento antico dell’amore. Sarete miei amici se fate ciò che io vi comando, cioè se rimanete nel mio amore, se la vostra dimora esistenziale abituale, nella quale vivete la vostra vita, le vostre relazioni, il vostro lavoro, le vostre fatiche, i vostri affetti, sogni, progetti è il mio amore, quell’amore che circola fra me ed il Padre, che è quello spazio, perfettamente coincidente, che fa di noi una pura relazione nello Spirto Santo.  

Rimanere in questo amore significa saper rinunciare serenamente alle pretese, o attese, di realizzazioni eroiche della nostra vita, preferendo quell’umile rimanere nell’amore dell’Amico-Maestro-Figlio del Padre che ci rende figli nel Figlio.

 

Domande per continuare la riflessione

- Mi sento o sono uno sradicato? A cosa è dovuta questa percezione che ho di me stesso? 

- Quali sono le radici vitali della mia vita? Dove o a cosa, a quali luoghi, ambienti, valori, clima domestico amo tornare e rimanere quando sento che la mia anima si sta prosciugando? 

- Dice Gesù: vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi. Io ho gioia? Quale?