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Comunità OFM Convento Eremo S. Felice - Cologna Veneta (VR)

Eremo San Felice

XXVI Domenica del Tempo Ordinario Anno C

2025-09-28 07:39

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Riflessioni,

XXVI Domenica del Tempo Ordinario Anno C

Due sembrano i grandi temi del Vangelo di oggi: il primo quello dell’inferno e del paradiso, i cosidetti novissimi, e l’altro quello della ricchezza.

28 settembre 2025

 

Am 6,1.4-7   Sal 145   1Tm 6,11-16   Lc 16,19-31

 

 

TRA NOI E VOI C'E' UN GRANDE ABISSO!

 

Due sembrano i grandi temi del Vangelo di oggi: il primo quello dell’inferno e del paradiso, i cosidetti novissimi, e l’altro quello della ricchezza. La proposta della Parola di Dio odierna c’insegna però a ricomprenderli entrambi in modo diverso e rinnovato…

 

1.)    Inferno.

Vorrei iniziare parlando dell’inferno che fa da sfondo al lungo dialogo fra Abramo ed il ricco senza nome. Certamente nessuno di noi preti da molti anni si azzarda più a parlare di inferno, ed il simbolismo tradizionale che lo presentava in passato con particolari inquietanti, ha ceduto il passo ad un’austerità simbolica, che dovrebbe aiutarci ad approfondirne la drammaticità, ma che alle volte può invece rischiare di far pensare che l’inferno non esista…, o non esista più. Il rischio insomma è quello di rendere poco credibile o di far perdere di valore e serietà un tema invece importantissimo: quello che tocca gli elementi che fanno fallire la vita non solo qui e adesso nel tempo storico, ma anche per tutta l’eternità….

L’inferno è la cifra di un naufragio esistenziale irreparabile, il simbolo dello spreco di una occasione grande ed unica, quella della vita. Se cerchiamo di comprendere in ultima analisi, quale sia il sentimento, o il dramma, che brucia e consuma il ricco, scopriamo proprio questo: quello di aver sprecato la propria vita.

Simbolo dell’inferno non sono però solo le fiamme che ardono, ma anche quello di un grande abisso. Anche qui possiamo interpretare l’abisso nel senso fisico di un baratro di distanza, ma anche nel senso esistenziale dell’incomprensione! In fondo se leggiamo bene la parabola di Luca vediamo che se il ricco è riuscito a banchettare tranquillamente, senza ansie, né rimorsi, nè sensi di colpa, è perché si doveva essere messo ben bene fuori dalla possibilità di vedere veramente i poveri!

Insomma doveva avere ben bene indurito il suo cuore. Ci sono molti termini per descrivere questi meccanismi mentali che ci consentono di escludere dalla nostra attenzione e comprensione tutto ciò che, per qualche motivo, non ci piace o non ci va a genio! In questo modo a furia di non voler vedere certe cose, avviene una sorta di miracolo al contrario: non vediamo davvero più le cose che non ci piacciono, anche se sono lì, squadernate davanti a noi! Insomma quando il ricco non vedeva il povero Lazzaro non è che faceva finta di non vederlo (forse all’inizio era proprio così, o era semplice distrazione), ma non lo vedeva più per davvero!

Ecco allora che comprendiamo meglio il secondo simbolismo dell’inferno: un abisso di mancanza di comunicazione, associato ad un abisso di mancanza di comprensione, empatia, compassione… Questo è dunque l’inferno: un tormento di sofferenza insopportabile dovuto ad una vita fallita, ed un abisso di solitudine e mancanza di contatto, comunicazione ed empatia umana!

 

2.)    Ricchezza?

Siamo adesso in grado di comprendere meglio il tema evangelico della ricchezza. Da quanto abbiamo detto sinora iniziamo già a comprendere che il problema qui non è tanto quello del possesso materiale dei beni, come a volte si pensa, ma di esserne posseduti in modo talmente avido e passionale, da non vedere più la realtà intera!

Questo ricco rimasto drammaticamente senza nome, non capisce come funzionano veramente le cose: non sa e non vede l’abisso che lo separa da Abramo, dal seno, cioè, dallo spirito di Abramo; se avesse in sé lo spirito di Abramo (da cui discende) saprebbe vedere le cose come le vedeva Abramo e possederebbe la  medesima sensibilità verso i bisognosi che aveva Abramo…

Il vero problema del ricco allora non è la ricchezza ma l’essere insipiente, cioè senza sapienza biblica, né umana… Forse è astuto, furbo, abile. Forse è abbastanza intelligente e capace per riuscire vivere materialmente bene in questo mondo, ma non conosce nulla della vita dello spirito, come a dire che non conosce né capisce nulla né del vero senso della vita, nè del cuore umano…

Come esempio della sua stupidità possiamo vedere come sia così stolto da credere basti un qualsiasi fantasma a convertire, i suoi eredi! Per convertire un avaro ci vuol ben altro: è davvero stolto! S. Paolo dirà che l’uomo spirituale è quello che giudica tutto senza essere giudicato da nessuno! Forse non è né astuto, né abile come il ricco su tante cose pratiche, ma sa riconoscere l’albero dai suoi frutti.

Quando l’uomo spirituale afferma queste cose, gli altri non lo comprendono, si burlano anzi di lui: chi mai ascolta il parere delle persone spirituali? Abitualmente i profeti sono emarginati, spesso e volentieri perseguitati, perché testimoniano cose spiacevoli che gli uomini di questo mondo non vogliono nemmeno sentire!

Poi lo sappiamo bene, non c’è peggior sordo di chi non vuole sentire, non basta un messo celeste, non è stato sufficiente neppure Gesù Cristo! Nel cuore della nostra libertà neppure Dio riesce ad intervenire, anche Dio si ferma di fronte ad essa….

Quando invece uno è disposto ad ascoltare per lasciarsi illuminare, correggere, allora non è più necessario un inviato celeste, è sufficiente un richiamo, un momento di ascolto, una pausa di riflessione, perché la legge di Dio è scritta nei nostri cuori e anche se a volte è difficile leggerla, se si pone davvero attenzione si comprende tutto: "Hanno Mosè ed i profeti - come a dire – hanno già quello che è necessario e sufficiente per comprendere…”. Mosè, i profeti, la voce interiore della coscienza, le Sante Scritture ed il maestro interiore (cioè la coscienza morale). Detto in termini più semplici: il Vangelo e lo Spirito Santo Sono la guida più necessaria e sicura per iniziare a correggere la nostra vita…

Nella prima lettura AMOS 6,1 ci richiama: “Guai agli spensierati” come a dire che facciamo bene a fare tante cose, basta che non perdiamo di vista l’unica necessaria… Ciò che rende giuste le cose che facciamo è la presenza di Dio! La giustizia che dobbiamo cercare è quella data dalla sua presenza, dalla sua Grazia, dal suo Amore, dalla sua Luce e Vita…

Non esiste una verità senza Dio, così come non esistono un amore o una giustizia senza Dio! Per dare verità e giustizia ai nostri pensieri occorre che ogni nostro pensiero, affetto, scelta abbia la giusta direzione, altrimenti si perderà, e anche noi perderemo, alla fine! Guai agli spensierati che non ragionano in termini finalistici sulla loro vita: non sapranno più ritrovare i loro pensieri quando ne avranno bisogno, e quando sarà loro chiesto di renderne conto!

 

Si ritroveranno allora senza risorse, senza forza di zappare, e senza capacità di umiliarsi a mendicare! Allora l’unica risorsa in cui poter sperare è aver agito, qualche volta, con autentica misericordia. Allora qualcuno si ricorderà con riconoscenza di loro….