XXVI Domenica del Tempo Ordinario Anno B

29 settembre 2024

Num 11,25-29   Sal 18   Giac 5,1-6   Mc 9,38-43.45.47-48


DIFENDERSI O APRIRSI?

Una legge psicosociale facilmente riconoscibile ci dice come,  riconoscere l’appartenenza ad un gruppo attraverso alcuni confini fisici, istituzionali, ideologici o religiosi, sia di aiuto alla formazione dell’identità personale e psicosociale delle persone. Guai però ad andare in crisi se le cose iniziano a mancare d’una chiarezza rigorosa. L’intolleranza e la rigidità non sono mai buoni segni! Il brano odierno di Marco ci risveglia dal pericolo costituito dagli atteggiamenti di rigidità intollerante mascherati da zelo.

Giovanni è forse il più giovane fra i dodici,  e possiamo ipotizzare che proprio la sua personalità giovanile ancora in formazione gli faccia avvertire il bisogno di avere attorno a sé confini chiari, sicché se la prende con chi “non è dei nostri” (Mc 9,38). Giovanni si riferisce a un estraneo al gruppo discepolare, che fa cose simili ai discepoli praticando persino esorcismi, che implicano una difficile lotta con il mondo del male. Giovanni vorrebbe arrogarsi l’esclusiva di fare il bene, come se gli altri non potessero fare altrettanto. 

Gesù risponde invitando con chiarezza a non temere l’apertura: «Chi non è contro di noi è con noi» (Mc 9,40) esprimendo valori inclusivi: il bene può venire anche da chi è diverso da noi, perché viene dall’alto, per cui è necessario mantenere sempre un’apertura di mente e di cuore. 

Se il compito della chiesa fosse quello d’inquadrare lo Spirito, potremmo correre il rischio di finire col pensare a noi stessi solo come pecore da accudire. Non è così: ogni cristiano, nessuno escluso, è erede del regno di Dio e coerede di Cristo, tutti noi possediamo la caparra dello Spirito. Tutti noi abbiamo il dono dello Spirito che chiama ad essere, in qualche modo, profeti...anche se non siamo ancora santi. 

Nella vita spirituale occorre imparare a riconoscere le ispirazioni lì dove si manifestano. Nella nostra vita interiore ci sono vasti spazi in cui avvengono cose che nessuno conosce. In quegli spazi s’instaura una relazione misteriosa fra noi e Dio che va al di là delle nostre opere esterne.  

Occorre fare attenzione a non rattristare lo Spirito, a non soffocarlo, a non sbarrargli la strada impedendo alle persone di trovare un esito alla loro vita interiore: “non vogliate rattristare lo Spirito Santo di Dio con il quale foste segnati” (Ef 4,30). L’avvertimento è quello di non costringere lo Spirito dentro i propri schemi. Quando rimaniamo prigionieri dei nostri schemi, senza aprirci all’azione dello Spirito, sia noi che gli altri veniamo privati del diritto di profetare, cioè di dare uno sbocco, e provare insomma di mettere concretamente a frutto qualcosa che magari confusamente stiamo già, in qualche modo, iniziando a vivere! 

Gesù pare volerci insegnare che più che un rigido controllo dei confini esterni, è utile mantenere viva una sana vigilanza interiore. Quel che conta è insomma capire cosa faccia davvero bene, cosa ci aiuta a crescere, e che cosa invece sta ostacolando una crescita armonica nel bene, nell’amore, nella verità. Troppo spesso ci accade infatti d’essere insofferenti per le iniziative degli altri senza esaminare e vagliare bene la nostra insofferenza. Dovremmo invece tenere a mente che, quasi sempre, quando qualcosa negli altri c’infastidisce è perché tocca qualcosa di noi che è ancora problematico, irrisolto. 

In effetti è più facile crearci un nemico esterno, cui attribuire ogni colpa, piuttosto che andare a scovare ed accettare qualcosa che non funziona bene dentro di noi. Non è facile mettersi in discussione perché è più semplice cercare quello che non va negli altri o nell’ambiente. 

Gesù illumina questo processo disfunzionale perché distoglie l’attenzione dal problema reale. Gesù invita a sondare il nostro cuore a tagliare quello che crea scandalo, ovvero tutto quello che non aiuta a crescere armoniosamente ed ostacola la crescita nel bene. E’ come se Gesù ci invitasse a verificare “Prima di lamentarti degli altri sei proprio sicuro che non ci sia anche dentro di te del male da tagliare via?”. 

Sono immagini che evocano le potature che l’agricoltore deve operare nel suo campo. La potatura, sebbene possa all’inizio presentarsi come una violenza, in realtà è una procedura che lo rende più fecondo e fertile. Anche noi, nella vita spirituale, dovremmo cercare di potare – tagliare quello che non funziona dentro di noi… Questo non è per nulla facile perché comporta un mettersi seriamente in gioco nel nostro percorso e nelle nostre scelte sociali, ecclesiali, religiose. 


Domande per continuare la riflessione

-Quale libertà interiore ritrovo nel mio cuore nel saper riconoscere il bene negli altri? Come mai ne sono spesso infastidito ed incapace di ammetterlo?
-Sono abbastanza libero e capace di mettermi serenamente in discussione?