Sap 2,12.17-20 Sal 53 Giac 3,16-4,3 Mc 9,30-37
LASCIARSI ABBRACCIARE: DALLA COMPETIZIONE ALL' ACCOGLIENZA
L’annuncio della passione è ripetuto tre volte da Marco: la prima l’abbiamo incontrato domenica scorsa (nel capitolo 8), la terza sarà nel capitolo 10 (ai vv.32-34), mentre la seconda appare oggi all’inizio del brano(vv.31-32).
“Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno, ma una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà” (v.31) Il Padre consegna in potere degli uomini il suo figlio, l’innamorato che non ha ha altro mezzo per mostrare il suo amore se non abbandonarsi tra le braccia della persona che ama. Proprio questo è quello che compie il Padre nel Figlio: si consegna agli uomini, si consegna nelle loro mani, pur sapendo quel che avrebbero fatto di lui! A uccidere il Figlio sono gli uomini e non gli scribi, o i sommi sacerdoti. Gli uomini: se Dio fosse rimasto in cielo nessuno avrebbe potuto ferirlo, ma essendo sceso sulla terra, ed essendosi messo nelle mani degli uomini, si è anche offerto alla morte…
Evidentemente i discepoli non sono in grado di comprendere un amore così grande, i loro cuori, le loro menti sono troppo distanti dai pensieri e dai sentimenti del figlio di Dio. Addirittura temono, hanno paura di chiedere chiarimenti a Gesù, “non capivano queste parole e avevano paura di interrogarlo” (v.32). Anche noi spesso non facciamo più domande quando abbiamo paura che un eventuale chiarimento sia troppo duro. Per i discepoli anche solo l’ipotesi di un insuccesso era agli antipodi delle attese, delle speranze e dell’immagine di Dio che avevano. Era qualcosa di lontanissimo dalla loro fede. Come può Dio abbandonare il suo eletto nelle mani dei malfattori? Impossibile pensarlo per loro che pregavano con i salmi...“non ho mai visto il giusto abbandonato” (Ps 37,25).
La giustizia di Dio, in loro non poteva certo conciliarsi con l’immagine della sconfitta o addirittura della morte del Figlio dell’uomo! Non comprendono, non superano lo scandalo della passione. Per questo anche avevano timore d’interrogarlo: quanto più brancoliamo nel buio, quanto meno domandiamo luce ed aiuto, chiudendoci nel silenzio. Questa mancata sintonizzazione sul mistero di Cristo però non tarda a far sentire pesanti conseguenze sul gruppo discepolare. Infatti, dopo aver chiuso le orecchie agli insegnamenti del Maestro, immediatamente iniziano a litigare vivacemente tra di loro.
Nella seconda parte del brano (vv.33-35) veniamo infatti a sapere di una disputa accesa in cui si sono lasciati coinvolgere. La disputa era sui primi posti, un tema molto dibattuto fra i rabbini del tempo: sia i santi nel cielo, che i viventi nella terra dovevano essere catalogati in vari ranghi, dovevano avere le loro posizioni a seconda dei loro meriti: i giusti posto di prestigio, gli impuri invece andavano emarginati.
Marco ricostruisce bene la scena in cui Gesù assume il ruolo del Maestro e pronuncia poi il suo giudizio solenne sulla vera grandezza dell’uomo: “Se uno vuol essere il primo, sia l’ultimo di tutti, e il servitore di tutti” (v. 35). Per rafforzare la sua lezione compie anche un gesto emblematico: prende un bambino, lo colloca nel mezzo, ed esorta ad accoglierlo nel suo nome. Anche nel capitolo decimo Marco parlerà della necessità di accogliere i bambini. Nell’episodio odierno i fanciulli sono indicati come simboli della persona debole ed indifesa che ha bisogno di necessità e di cure, a cui va accordata una speciale attenzione. Il significato del gesto è inequivocabile: Gesù desidera che nella sua comunità sia accordata una particolare attenzione alle persone più fragili, povere, bisognose, a coloro che contano di meno.
Che cosa possiamo imparare?
Rimaniamo impressionati da come la reazione dei discepoli davanti alla sofferenza di Gesù, che sta condividendo con loro l’esito drammatico della sua missione apostolica, sia quella di cominciare una discussione fra di loro su chi fosse il più grande! Davvero sorprendente: Gesù condivide con loro il dramma di una morte imminente, e loro litigano su chi sarà il suo successore, cercando di dimostrare chi sarà il più adeguato a candidarsi e come sostituirlo!
Avere una mentalità competitiva è molto comune: siamo cresciuti in essa fin da bambini. Se crediamo che nella vita quel che conta è arrivare primi gli altri saranno sentiti sempre come avversari. Gran parte delle nostre relazioni sociali è segnata (sotto sotto) dalla preoccupazione di “battere” l’avversario… A pensarci bene, è questo il lavoro del divisore, il maligno, instillare in noi un’insaziabile bisogno di supremazia, che alla fine ci rende vuoti, isolati, insoddisfatti (oltre che brutali…).
Davanti a questo stato di cose Gesù si limita a prendere un bambino e ad abbracciarlo! Il messaggio è luminoso: lo scopo della vita non è arrivare primi, ma lasciarsi abbracciare da Dio, accogliendo e riconoscendo in pace la propria fragilità. Chi non ha integrato in sé il proprio limite, in genere non si lascia nemmeno abbracciare da Dio! Vorremmo tutti essere adulti, maturi, sicuri di noi stessi. Forse dobbiamo scoprire che siamo tutti bambini da accogliere. Sa accogliere i bambini chi si è riconciliato con la sua piccolezza. Dietro un adulto competitivo ed aggressivo c’è spesso un fanciullo che non è stato mai accolto con amore.
La consegna evangelica di oggi sta probabilmente in un invito a cambiare il nostro sguardo su noi stessi e sul nostro prossimo, passando dalla competizione (con noi stessi, e con il prossimo), all’abbraccio ed all’accoglienza.
Domande per continuare la riflessione
-Che rapporto trovo nella mia vita tra amore e abbandono di me stesso?-Cosa potrebbe voler dire per me imparare a lasciarmi abbracciare, come un bambino, da Gesù, e dagli altri? Quale tipo di conversione comporterebbe per me?