XX Domenica del Tempo Ordinario Anno B

18 agosto 2024


Pr 9,1-6; Sal 33; Ef 5,15-20; Gv 6,51-58

VIVRA' IN ETERNO

I vv. 51 e 58 del capitolo VI di Giovanni, che aprono e chiudono la sezione odierna, ripetono l’espressione “se uno mangia di questo pane vivrà in eterno”. Si tratta d’un importante passaggio del capitolo: se il discorso del pane del cielo di Gesù era sinora inteso come parola e sapienza di Dio, ora entriamo nel cuore del mistero eucaristico. Fino a questo momento infatti, Gesù parlando di pane del cielo si riferiva alla sua Parola, e già questo era stato difficile da accettare. Le perplessità adesso aumentano: se finora c’era una dottrina cui aprirsi, adesso si parla della carne di Gesù di cui nutrirsi. Nel linguaggio semitico l’espressione carne non ha lo stesso significato che ha per noi: la carne indica l’uomo nella sua dimensione di precarietà, vulnerabilità, dire che l’uomo è carne significa dire che è vulnerabile e destinato alla morte. Pertanto non dobbiamo pensare che il discorso di Gesù fosse compreso ed interpretato come invito ad un banchetto cannibalesco, tuttavia la difficoltà del messaggio, con la sua dimensione di provocazione (e di scandalo) rimaneva ugualmente rilevante... 

Come non bastasse parla anche di bere il suo sangue. Sappiamo come l’atto di bere il sangue fosse severamente vietato nelle scritture (cf. Lv 7,26-27): la vita infatti per gli ebrei risiede nel sangue, ed essendo essa sacra appartiene solamente a Dio. Quando in Esodo 24 Dio stipula la sua solenne alleanza con il popolo chiede che essa sia sancita con il sangue degli animali sacrificati, per indicarne l’inviolabilità. L’invito di Gesù a mangiare la sua carne e a bere il suo sangue costituisce di fatto un invito ad entrare, e mantenersi stabilmente, in un rapporto comunionale di vita e di amore con Lui e con il Padre suo. Gesù sta dicendo che per credere a Lui non è sufficiente la comprensione intellettuale di un messaggio, ma è necessario un vero e proprio coinvolgimento personale. 

Nella prima parte di questo capitolo Gesù prometteva la vita eterna a chi avrebbe creduto alla sua Parola, oggi parla anche della necessità di mangiare la carne e bere il sangue. Manteniamo uno sguardo unitario sulla proposta di Gv 6: la fede nel messaggio evangelico di Gesù resta fondante, tuttavia occorre entrare profondamente nel mistero anche attraverso un rito. L’uomo per la sua costituzione incarnata, creaturale, ha la necessità, non opzionale, d’esprimere anche le realtà più spirituali e sublimi attraverso segni concreti e tangibili. I sacramenti sono donati da Dio all’uomo proprio per questa esigenza. Nell’ultima cena il Signore Gesù, prima dell’offerta della sua vita sulla croce, volle istituire un rito con cui il dono della sua vita sarebbe stato per sempre reso presente tra i suoi. Pertanto dopo la Pasqua di Gesù la comunità cristiana primitiva non ha dovuto inventarsi nulla: tramite il rito eucaristico, istituito da Cristo stesso, il messaggio di Gesù e il dono della sua vita, sarebbero stati rinnovati continuamente in ogni luogo ed in ogni tempo. Questo consente pertanto ad essi di poter essere esistenzialmente assimilati (e non solo conosciuti e ricordati a livello mentale) da tutta la comunità dei credenti, in ogni luogo ed in ogni tempo. 

La partecipazione all’eucaristia allora non è un rito magico, magari sostitutivo della fede, ma un’ebbrezza che placa la sete dell’anima. La lettera agli Efesini oggi raccomanda d’essere ricolmi dello Spirito: colmandoci di Lui, delle sue parole, della sua presenza, cibandoci di Lui, rimanendo in Lui saremo pieni di Lui. Una partecipazione eucaristica sprovvista d’un tale orientamento ( in affetti, pensieri, parole, scelte concrete…) sarebbe inutile quanto inefficace. Quando invece sappiamo colmarci e riempirci di Lui, sia attraverso una partecipazione eucaristica consapevole e responsabile, sia cogliendo ogni occasione per ascoltare e meditare la sua Parola e per restare con Lui, saremo trasportati in una dimensione esistenziale diversa. Mentre chi vive del mondo giudica tutto in modo terreno, chi ha saputo colmare se stesso di un’altra vita ha in sé ormai un altro vino, un’altra gioia, un’altra ebbrezza… quella dello Spirito.


Domande per continuare la riflessione

- Di che cosa ho veramente fame? Di che cosa ho veramente sete?

- Colui che mangia me vivrà per me (Gv 6,57): fino a quale punto si estende il significato di queste parole nella  mia vita?