XII Domenica del Tempo Ordinario Anno B

23 giugno 2024

Gb 38,1.8-11   Sal 106   2Cor 5,14-17   Mc 4,35-41

FERMARSI O METTERSI IN VIAGGIO?

A tutti noi a volte viene voglia di fermarci, di mettere fine al viaggio, toccare terra. Quando soffriamo, ad esempio, abbiamo orrore di ogni sforzo, come quando si ha freddo e  piuttosto che alzarsi a cercare una coperta, si preferisce continuare a gelare. Anche noi vogliamo toccare terra ed accontentarci. Vorremmo accontentarci di accontentarci. La terra è la sicurezza, la continuità, la stabilità, il mare è il cambiamento, la traversata, il rischio, la possibilità d’essere risucchiati nell’abisso. Il mare fa paura, simboleggia il rischio di sprofondarvi. Quando troviamo qualche sicurezza ci attacchiamo, non vogliamo più proseguire, vorremmo smetterla di fare i naviganti.

La parola di Gesù invece, come la vita concreta, storica, ci chiede, anzi ci costringe, a continuare il viaggio, di proseguire per passare all’altra riva, continuando a rischiare. La vita è una continua chiamata a passare all’altra riva, c’è sempre un’altra riva davanti a noi, una terra non ancora raggiunta. La terra è la sicurezza, il già noto, il già visto, la consuetudine, il mare è l’ignoto, il cambiamento, la precarietà.

Nella vita poi, come nel lago, le tempeste giungono impreviste ed inaspettate, ed ogni tempesta mette a rischio la nostra vita, in ogni tempesta sperimentiamo la morte così vicina. Ci sentiamo sballottati, impotenti, impossibilitati a guidare la nostra barca. L’acqua entra da tutte le parti e noi ci domandiamo cosa ci è saltato in mente d’imbarcarci in questo viaggio, anche se profondamente, in modo preconscio, sappiamo che non potevamo fare a meno di cercare di passare all’altra riva, e contemporaneamente sappiamo che non ce la faremo mai! Anche nelle tempeste c’è sempre un’altra riva.

Proprio la povertà, l’impotenza e la fragilità sono i luoghi della cura di Dio, ed anche la poca fede, la fede povera e nuda lo è. La fede dei discepoli è sempre alternata, non può che essere così. Perché siete così paurosi? Non avete ancora fede? La fede nasce e si rende presente proprio nell’aridità, nell’assenza della fede. Nella tempesta emerge l’immagine di Dio che hanno i discepoli: vogliono un Dio che li rassicuri, un Dio pronto a risolvere prontamente i loro turbamenti e tempeste. Non accettano un Dio che li lascia in mezzo alle difficoltà senza parlare, in silenzio, addirittura dormendo sul cuscino: “non t’importa che moriamo?”, un Dio a cui non importa il loro destino.

Anche noi, nei momenti di tempesta della nostra vita, non comprendiamo il silenzio, la latitanza ed il sonno apparente di Dio; ma paradossalmente sono proprio questi i momenti in cui emerge più autenticamente ciò che c’è davvero nel nostro cuore. Il sonno di Gesù costringe i discepoli a cercare in loro stessi le risorse per svuotare la barca dall’acqua, controllarne la deriva, perché anche nella tempesta dobbiamo soprattutto continuare a credere che è possibile passare all’altra riva. Il Signore, nella sua misericordia, probabilmente vuole liberarci non tanto dalla tempesta, quanto piuttosto dagli atteggiamenti sbagliati che assumiamo durante le tempeste. Non ci vengono risparmiati i momenti di smarrimento, di fallimento, pericolo, anzi veniamo chiamati ad attraversarli, ma ci viene chiesto di farlo con il cuore pieno di timore di Dio e di affidamento a Lui.

In Gesù il Padre opera una nuova creazione, quasi una profezia per i suoi angosciati discepoli perché possano anche loro divenire nuove creature: le cose vecchie, angoscianti, sono superate, ne sono ormai nate di nuove nella fede.

 

Domande per continuare la riflessione:

-L’altra riva: nella vita si tratta sempre di partire da un qualche posto per andare in un altro. Come vivo questa chiamata alla migrazione?

-Pigrizia, paura, fiducia: quali i sentimenti e stati d’animo mi guidano nei momenti di tempesta?

-Come la fragilità, anche la poca fede, povera e nuda, è luogo della cura di Dio...ci credo?