I Domenica di Quaresima Anno B

18 febbraio 2024


Gen 9,8-15   Sal 24   1Pt 3,18-22   Mc 1,12-15

LA LUCE NEL DESERTO


Il tema del deserto e della sua difficile traversata è tanto presente nella storia d’Israele da essere divenuto una pietra miliare della spiritualità biblica. Non dovrebbe pertanto sorprenderci che anche Gesù vi si inoltri. Dovremmo tuttavia fare attenzione a comprendere come nel vangelo di Marco, oltre che una verità storica riferita alla vita di Gesù, esso rappresenti anche un paradigma dell’esistenza che riguarda la vita d’ognuno di noi. 

L’esistenza umana assume non di rado infatti l’aspetto di una terra desolata in cui le tentazioni più che istigazioni al male sono strettoie che costringono a scelte difficili, a volte trafiggenti ma che, una volta superate, sono capaci di rendere più matura la nostra vita e più pura la nostra fede. Gesù non ha evitato il deserto ma vi si è inoltrato sospinto dallo Spirito Santo per tracciare una strada anche per noi. Marco, a differenza degli altri sinottici, è molto asciutto nel parlarci delle prove di Gesù; sostanzialmente ci dice che, avendo assunto la natura umana, anche Lui ha sperimentato la fragilità. Tale difficile esperienza provoca spesso nell’uomo ripugnanza verso la vita ed una subdola avversione alla condizione umana che porta alla formazione di false immagini di sé, degli altri, della vita. Il termine ebraico satàn non è un nome proprio di persona, ma un nome comune ed indica chi fa da avversario e accusatore. Se ai tempi di Gesù poteva essere immaginato come uno spirito cattivo, nemico del bene, oggi possiamo pensarlo come l’azione di quei pensieri mentali fuori controllo, che ostacolano nella riconciliazione e nell’accettazione di noi stessi. Da questi pensieri nasce un rancore sordo verso la realtà ed un’incapacità ad amare la vita, che ci espropriano della nostra gioia di vivere. 

Gesù nei quaranta giorni del deserto impara a sottostare e ad accettare l’estrema vulnerabilità della condizione umana. Il riferimento alle bestie selvatiche con cui sta, indica come Gesù non avesse paura e non si nascondesse alla presenza dell’egoismo presente nell’umano, ma lo affrontava senza identificarsi con esso. E’ quello che dovremmo imparare a fare anche noi: conoscere le nostre passioni, osservarle, senza temerle e senza identificarci con esse. In Marco poi è indicato anche un secondo polo: “e gli angeli lo servivano”, che rappresenta il momento in cui la luce si separa dalle tenebre. Finché non impariamo a vedere ed accettare la vulnerabilità in noi (le bestie selvatiche) la trascendenza del mondo angelico non potrà manifestarsi. Gli angeli possono rivelarci la loro presenza solo quando riconosciamo la presenza delle fiere. Come a dire che la nostra vulnerabilità è luogo rivelativo sia del nostro limite, sia della trascendenza. Se non impariamo a riconoscere le nostre passioni, senza spaventarci, non potremo incontrare mai quegli spazi di trascendenza presenti in noi che ci aprono a possibilità inedite di vivere. 

Senza questo discernimento continua l’indistinzione in cui non ci sono né fiere né angeli e restano nascoste le catene che ci legano all’ego. Comprendiamo allora a cosa serve il deserto: a maturare la crisi, il giudizio, a giungere alla luce. Finché le tenebre riescono a mimetizzarsi non ci sarà mai nessuna separazione, e noi resteremo prigionieri. Per questo Gesù è andato nel deserto in cui, nel dialogo continuo col Padre suo nello Spirito, si è esposto alla luce. La luce del deserto è la preghiera, nella quale affiorano tutti i nostri compromessi, tutte le impurità. Nessun esame della coscienza ha la forza di penetrazione come quella della preghiera nel deserto. Andando nel deserto ci esponiamo con il Cristo alla luce risanatrice della preghiera dell’essere, di cui parlava il card. Martini, quel movimento che sale dal cuore della persona quando si mette di fronte alla verità dell’essere.

La Quaresima ci indica dunque la via dell’esposizione alla luce della preghiera, in cui tutto si rivela, e nulla resta nella nostra anima che non sia manifestato.

 

Domande per continuare la riflessione

- Hai mai pensato alla tua vulnerabilità anche come luogo della trascendenza, aperto a possibilità    inedite di vita?

- Vivi dei momenti di preghiera come immersione in una luce risanatrice?